ASSISTENTE SCOUT
La cronaca che segue (apparsa sulla rivista Asci “L’Esploratore” e sul sussidio Asci “Hanno lasciato una traccia”) è stata scritta da don Annunzio Gandolfi:
“Durante la prima guerra mondiale, nel suo diario di cappellano militare, aveva scritto:
Dormirà in pace come il guerriero che colpito a morte si avvolge nella sua bandiera“
Morì avvolto nella sua bandiera sacerdotale, la sua veste talare. Quando gliela tolsero, per comporlo sul letto di morte, la videro imbrattata di un grumo sanguigno e polveroso, proprio come una bandiera sul campo di combattimento. Ma non era caduto durante la battaglia mentre soccorreva i feriti ed i morenti. La Prima guerra Mondiale era già finita e don Giovanni ne era tornato con una medaglia d’argento.
Una mano assassina l’aveva atteso di notte, in agguato all’angolo di un vicolo buio del suo paese e, prima che egli se ne avvedesse, a tradimento gli aveva fracassato il cranio con una randellata.
Era la sera del 23 agosto 1923.
Don Giovanni ebbe appena la forza di trascinarsi per una cinquantina di metri, avvinghiato ad un giovane che era in sua compagnia, pure lui bastonato, fino alla porta della canonica. Dopo un’ora moriva.
I due sicari erano spariti nel buio, inseguiti dall’ombra del prete, ucciso senza conoscerlo, e protetti dalla organizzazione fascista, che con questi sistemi smantellava le trincee non sue, per impadronirsi della vita della nazione.
L’anno prima don Giovanni aveva scritto al presidente diocesano della Gioventù Cattolica di Ravenna, impossibilitato a partecipare ad una manifestazione giovanile organizzata ad Argenta per essere stato picchiato dai fascisti: “…chi vuoi essere un apostolo della nostra idea non puà non essere un predestinato al martirio”.
Don Minzoni era un Assistente Scout, aveva organizzato la gioventù della sua parrocchia di Argenta, organizzando opere sociali, e a tre mesi dal suo martirio aveva lanciato anche gli Esploratori, convinto che ai giovani bisognava presentare degli ideali grandi, generosi e forti.
A qualcuno dispiaceva l’operato di don Giovanni. Non mancarono le minacce, più o meno violente (tentarono perfino d’incendiargli il circolo cattolico) e di notte a più riprese i fascisti argentani andarono a cantargli il “Requiem” e il “De profundis” sotto alle finestre della canonica, ma Egli continuà deciso il suo lavoro apostolico.
Nel luglio 1923, l’Assistente Regionale degli Scouts fu chiamato ad Argenta per tenere una conferenza pubblica nel teatro del circolo cattolico. Monsignor Emilio Faggioli era stato chiamato apposta da Bologna [dove, nell’Aprile 1917, aveva fondato nella parrocchia di San Giovanni in Monte il primo riparto ASCI dell’Emilia Romagna, il Bologna I “Pro Fide et Patria”] da Don Minzoni per parlare degli Esploratori. Don Giovanni lo presentà ai pubblico che gremiva la sala e gli diede la parola.
Il Vibrante e segaligno mons. Faggioli spiegà le finalità dello scautismo: “attraverso questo tirocinio e disciplina della volontà e del corpo -disse fra l’altro l’oratore – noi intendiamo formare degli uomini di carattere…”
Dalla galleria una voce interruppe per dire: “C’è già Mussolini…”
L’interruzione minacciosa creà subito una fenditura nell’ambiente mentre don Minzoni, alzatosi da mezzo il pubblico, si sentì istintivamente portato dalla sua irruenza romagnola verso il luogo donde era uscita la voce. Monsignor Faggioli intanto rispondeva che lo scautismo agisce al di sopra e all’infuori della fazione politica e continuava la relazione tra la compatta unanimità degli ascoltatori, soprattutto giovani, che reagivano battendogli calorosamente le mani.
“Vedrete da oggi – terminà l’oratore – lungo le vostre strade i giovani esploratori col largo cappello in testa ed il giglio sul cuore. Guardate con simpatia questi ragazzi che percorreranno cantando la larga piazza d’Argenta…”
“In piazza non verranno” – interruppe di nuovo la voce del segretario del fascio locale dalla galleria. Ma questa volta rispose don Minzoni stesso: “Finchè c’è don Giovanni, verranno anche in piazza! “. L’applauso immenso dei suoi giovani troncà il dialogo.
La minaccia era nell’aria. Ma con la minaccia c’era ad Argenta anche il Gruppo degli esploratori cattolici. Più di settanta iscritti e tutti in uniforme.
Questo accadeva un mese prima del delitto. Ormai sono trascorsi molti anni, ma il ricordo di quel vile episodio è ancora vivo come è vivo e convincente ancora l’esempio di fervore sacerdotale lasciatoci da don Giovanni.
Un articolista [nel 1973] è riuscito a rintracciare anche Enrico Bondanelli, il giovane che venne aggredito insieme a don Minzoni e si salvà la vita solo perchè le legnate furono attutite dalla paglietta che portava in testa.
Interrogato sulle cause dell’aggressione a Don Minzoni ha dato queste spiegazioni: “… Per me l’arciprete era solo un uomo che detestava la violenza da qualunque parte venisse, e che non tollerava le imposizioni nemmeno dai fascisti. La causa della sua tragica morte è stata il contrasto insanabile sorto con i fascisti sulla educazione della gioventù d’Argenta. Il partito fascista aveva fondato in quegli anni l’Opera Balilla ma i ragazzi ed i giovani d’Argenta preferivano iscriversi all’associazione degli Esploratori e al Circolo cattolico istituiti da don Minzoni. Lo smacco provocà il risentimento dei fascisti argentani e poichè l’arciprete non intendeva cedere, decisero di impartirgli una lezione, secondo il loro costume. La lezione fu tale che lo mandarono all’altro mondo”
“Don Minzoni morì vittima scelta di una violenza cieca e brutale, ma il senso radicale di quella immolazione supera di gran lunga la semplice volontà di opposizione ad un regime oppressivo, e si colloca sul piano della fede cristiana […]. Fu il suo fascino spirituale, esercitato sulla popolazione, sulle forze del lavoro ed in particolare sui giovani, a provocare l’aggressione; si volle stroncare soprattutto la sua azione educativa diretta a formare la gioventù per prepararla nel contempo ad una solida vita cristiana e ad un conseguente impegno per la trasformazione della società . Per questo gli Esploratori Cattolici sono a lui estremamente debitori”.
Dalla lettera del Papa, Giovanni Paolo II, all’Arcivescovo di Ravenna, in occasione del 60° della morte di don Minzoni